«American Way of Life».

Federica Ongis
7 min readJul 11, 2020

--

Perché si sogna(va) l’America?

Are you an American Dreamer? Quando salpò il Titanic l’America era un sogno: il sogno di molti Europei.

Il “nuovo mondo”. Dove la novità più che fare paura, stuzzicava curiosità. Questa curiosità era genuina e comprensibile, soprattutto per coloro che vivevano la quotidianità del vecchio mondo. La “curva di vita tipo” del continente europeo era, infatti, un’incessante alternanza di guerra e pace, così movimentata da sfinire le sue genti fino a portarle a credere fermamente che l’erba del vicino fosse più verde, molto più verde. Così con tanti problemi sul collo e qualche gruzzolo in tasca, in molti si imbarcarono. Così ci innamorammo dell’America. Così nacque il sogno americano. Così, oggi, alla domanda “dove vorresti andare?” sono in tantissimi a rispondere ancora “in America”.

Come per tutti i sogni, però, c’è sempre il momento in cui ti svegli. Quindi, se ci vai davvero in America — non per qualche giorno di vacanza s’intende —ad un certo punto ti alzi dal letto, incominci la giornata e vedi lucidamente ciò che era pura fantasia e ciò che invece è reale quotidianità e allora ti chiedi: “Perché? Perché si sogna(va) l’America?”.

The American Way of Life

Lo chiamano “American Way of Life” ma non è un reale modo di vivere è piuttosto la strategia di sopravvivenza degli Stati Uniti d’America. Si basa tutto su una coordinata fondamentale: la deterrenza militare, per mezzo della quale lo strapotere americano ha costruito, nel tempo, un impero.

Dopo la guerra fredda, infatti, l’America ha consolidato il suo storytelling sostanziandolo attraverso un investimento di gran lunga superiore a quello della media delle altre potenze mondiali in armi, eserciti, armamenti nucleari. Per darvi qualche numero: il bilancio 2020 del Pentagono Americano è di circa 718,3 miliardi vs i circa 250 miliardi spesi dalla Cina, seconda in classifica con un +83% rispetto agli anni precedenti. Lo scopo? Semplice: se devo convincerti che il mio modo di fare è il migliore di tutti, che la mia opinione è superiore alla tua, posso dirtelo, ma per sicurezza ti metto un pò paura così da farti vedere che “essere in disaccordo” non ti conviene molto.

Geopoliticamente parlando l’America ha costruito un impero. Proprio grazie al controllo militare è diventata una “Mamma”, specie per noi italiani. Come tutte le mamme la sua missione è proteggere i propri figli. Ma da chi? Da chiunque tenti di educarli in modo difforme. Come in tutte le famiglie, però, c’è sempre il figlio ribelle, quello che “la mamma non vuole ascoltarla” e allora, per mettere tutti d’accordo e preservare l’equilibrio e la stabilità del nucleo famigliare, si deve necessariamente ricorrere a qualche castigo, a qualche minaccia per far passare forte e chiaro il messaggio che: tutto ciò che si sta facendo lo si sta facendo a fin di bene. Ma qual’è questo “bene”? Beh, chiaramente più figli si hanno e più questo concetto dev’essere inclusivo affinché tutti lo sposino, affinché tutti lo comprendano, affinché tutti si battano per esso. L’America ha semplicemente deciso di chiamare questo “bene” — “globalizzazione”. That’s it.

Una religione poco religiosa

L’American Way of Life è una religione. Statisticamente gli americani sono i più credenti di tutti. Giurano sulla Bibbia perfino i Presidenti. L’American Way of Life è una religione nella misura in cui si è insegnato “religiosamente” e diligentemente a tutti a credere che l’America possa dare a ciascuno la speranza di un tenore di vita prosperoso. La formula è la stessa adottata dalle crociate: messaggio + esercito = the perfect mix.

Limes, Chi Comanda il Mondo?

Una delle carte più parlanti ed affascinanti pubblicate da Limes — rivista italiana di Geopolitica, di cui per altro il suo direttore fu pure il mio professore all’Università — si intitola “Chi comanda il mondo?” e mostra come l’America abbia costruito il suo predominio servendosi della propria flotta che, posta accuratamente a controllare tutti i principali “colli di bottiglia”, ovvero le rotte marittime dalle quali passano i più importanti traffici economici e commerciali, detta le regole del gioco “everywhere”.

Welcome in 2020?

Il discorso imperiale si reggeva molto bene nel mondo bipolare. Dove l’America era l’eroe, la Russia il nemico numero uno da sconfiggere, l’Europa un potenziale alleato e tutto il resto mero contesto.

Ma oggi, in un mondo in cui gli scenari internazionali sono estremamente mutati, questa storia regge ancora? Se lo stanno chiedendo in tanti. Tutti quelli che si fanno la domanda: “Il nostro secolo sarà un secolo a guida Americana?”, in realtà mettono implicitamente in dubbio la leadership dell’impero. Non solo, ma anche negli USA c’è una tendenza politica — per quanto minoritaria — nota come “realismo” che sostiene la non necessità di un’estensione imperiale dell’America. Perché? A quale scopo? Perché mai dobbiamo assumerci questa responsabilità? Perché, di fatto, è di una responsabilità che si tratta (anche). La religione e il potere affidano un compito che se gli Stati Uniti decidessero di deporre in favore di altri potrebbe indurre chi ha fede ad iniziare a credere in un altro Dio. Non è affatto facile. Del resto, quale divinità abbandona il proprio popolo definitivamente? Lo mette alla prova, lo minaccia (vero), ma lasciarlo?

Trump magari è di questa idea. Ma il Pentagono? Non se ne parla proprio. Un’America senza “American Way of Life”, cioè senza questo soft power diffuso e consolidato dal potere forte dell’economia, dei mercati e degli eserciti, mostrerebbe solo tante, tantissime falle. Per esempio? Una democrazia poco democratica, una prepotenza economica poco favorevole alla libera concorrenza di mercato, una libertà poco indirizzata al pluralismo, un’uguaglianza di forma e di stile più che di contenuto. Ad un mondo in cui la formalità è tutto, non si può di certo togliere la forma.

A fronte di queste riflessioni, che come dicevamo diventano sempre più frequenti, specie con l’insorgere di potenze come la Cina, l’India e perché no, magari anche con il consolidamento di un’Europa più unita, indipendente e meno terrorizzata di inciampare nel proprio passato storico, ci sono numeri che attestano come le persone inizino già a mostrare simpatie diverse. Per esempio, un recente sondaggio condotto proprio in Italia ha visto oltre il 52% dei nostri connazionali dichiarare una curiosità e un interesse maggiore verso la Cina che verso l’America. 52% potrebbe sembrare ancora un numero irrilevante, ma fidiamoci che è indicativo, soprattutto se confrontato con i trend del passato.

Perché l’America dovrebbe rinunciare?

Se c’è qualcuno che lo pensa, magari un motivo (o forse anche più di uno). Che cosa vorranno fare da grande gli americani? Bella domanda.
Gli americani “si sono trovati in mano” la globalizzazione che altro non è che la loro estensione sul controllo dei mari e il dominio dell’economia globale in termini di soft power (storytelling). Da popolo che si esalta facilmente e che ha, molto più di noi Europei, una certa propensione al rischio, hanno accettato la sfida.

Ma ora come ora questa sfida si sta mostrando un fardello. Pesa.

Dai cambiamenti climatici, al surriscaldamento terrestre, alle migrazioni, ai conflitti, alle crisi economiche e finanziarie, e ora ci si aggiungono pure le pandemie, è chiaro che la situazione non è più così sinuosa. Per cui, c’è chi pensa che “forse portare il peso su più spalle sarebbe meglio”, c’è chi pensa “ma chi c’è l’ha fatto fare?”, c’è chi pensa “non si discute, avanti così”.

C’è qualcosa che non quadra

Gli Americani avrebbero e hanno tanta voglia di arrivare ad una quadra per in quadrare il mondo nelle categorie che essi stessi hanno definito, ma per come va il mondo oggi ci troviamo di fronte ad un’America che:

  • Nacque grazie all’immigrazione — tant’è che la stragrande maggioranza della sua popolazione ha origini europee (per non ammettere tedesche) — e oggi non vede l’ora di costruire muri.
  • Inneggia la pace, ma combatte per “ottenerla”.
  • Professa la globalizzazione, ma la sposa se e solo se arricchisce i suoi traffici.
  • Parla di uguaglianza, ma vive questo valore principalmente nel conformismo.
  • Sostiene le libertà e i diritti umani, e alla fine li calpesta.
  • Si rivolge all’Europa, ma considera solo la Germania.
  • Sostiene il pluralismo, ma usa la forza per metterlo a tacere.
  • Ha costruito il suo impero sulle regole del libero mercato, del libero scambio e della concorrenza, ma qualsiasi potenza tenti di crescere goeopoliticamente percorrendo la strada dell’imprenditorialità viene bullizzata agli occhi del mondo.

Insomma, qualcuno mi dirà che queste sono le regole del gioco, che chiunque provi a portare l’acqua al suo mulino non ha alternative, che, in fondo, tutti lo fanno. Non posso che essere d’accordo, ma allora non venire a fare la morale. Perché, alla fine dei conti, l’impero americano, l’American Way of Life, la globalizzazione — chiamala come vuoi — altro non è che una morale.

--

--

Federica Ongis
Federica Ongis

Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

No responses yet