Cambiare strategicamente.
Un antico proverbio cinese recita: “Quando il vento del cambiamento soffia, alcune persone costruiscono muri, altre mulini a vento”.
Thomas Edison diceva che esiste sempre un modo diverso e migliore di fare le cose, il tutto sta nell’avere il coraggio di mettersi in gioco per portare innovazione, o più generalmente, per cambiare. Il cambiamento è nella natura di ogni essere che vive e, proprio come nell’antica filosofia di Eraclito, è l’unica condizione permanente specie per l’essere umano che non può far altro che continuare a cambiare con la sfida costante di trovare il modo di rimanere fedele a se stesso.
Oggi tutti parlano di cambiamenti e la parola stessa “cambiamento” è una parola così potente che molto spesso viene utilizzata per persuadere le folle. Non a caso, è stata la chiave delle fortunate campagne elettorali di presidenti come Obama, del successo di tanti imprenditori o della fortuna di innumerevoli campagne di marketing. Ogni giorno viviamo cambiamenti. Cambiamenti che possono essere provocati da fenomeni molto diversi tra loro: una persona, una situazione, un accadimento, una storia di successo, si può parlare di un cambiamento fisico, biologico, psicologico … e perfino una parola può generare un cambiamento. Nel 1946 Franz Alexander, medico e psicoanalista di origine ungherese, scriveva che il cambiamento è un’esperienza collettiva emozionale che ci libera dalle modalità di agire e pensare a cui siamo affezionati, introducendone di nuove. Morale: quando vogliamo cambiare dobbiamo trovare il modo di vedere le cose da un’altra prospettiva, di cambiare punto di osservazione.
Perché cambiare è difficile?
Non c’è crescita senza cambiamento, eppure cambiare è una delle cose che ci riesce più difficile. Cambiare è faticoso perché consolidando alcuni comportamenti, il nostro cervello si convince (e ci convince) che aggrapparci alle nostre convinzioni sia il modo migliore per tenere in piedi la nostra personalità e identità. In realtà, non c’è modo peggiore di mettere in discussione il nostro equilibrio personale che irrigidirsi ed estremizzare certi modelli comportamentali.
Da Einstein a Newton, le persone più geniali, si sono sempre distinte per la loro capacità di fare le cose in modo diverso e, in un certo senso, di essere dei veri e propri Outliers, persone le cui idee ed esperienze si posizionano fuori dalle regole e dagli schemi più comuni portando disruption. Chi rompe gli schemi e cambia, rivela un modo alternativo di preservare l’equilibrio tra la naturale voglia di cambiare dell’essere umano e il desiderio di rimanere fedele a sé stessi, e cioè, continuando a sperimentare piccoli cambiamenti capaci, da un lato, di soddisfare la voglia di diversità, dall’altro potenziando la nostra identità.
Ma che cosa è il cambiamento? E di quali condizioni ha bisogno?
Il cambiamento è almeno 3 cose. La prima: è una condizione di disagio che rompe gli schemi di percezione a cui siamo abituati. La seconda: è il frutto di un esperienza emozionale incosciente che viviamo sotto forma di “sorpresa” e “scoperta” e che, solo in seconda battuta, razionalizziamo. La terza: il cambiamento è un evento del presente. Le neuroscienze aggiungono a questi elementi un’altra spiegazione di che cosa è il cambiamento, dicendoci che esso è una condizione permanente dell’essere umano resa possibile dalla neuroplasticità, cioè dalla capacità del nostro cervello di trovare percorsi cognitivi alternativi per adattarsi alle diverse condizioni a cui si espone.
Quando si verifica un cambiamento si passa sempre attraverso alcune fasi:
- Una percezione destabilizzante, proprio perché il cambiamento nasce dalle sensazioni o da nuove sensazioni.
- Una reazione psicologica non consapevole, proprio perché l’80% delle nostre esperienze cognitive vive sotto la superficie cosciente.
- La scoperta di modalità alternative.
- L’elaborazione cognitiva.
- La razionalizzazione del processo.
- L’acquisizione di una nuova capacità.
I cambiamenti che viviamo possono essere graduali, catasfrofici, oppure esperienziali o ancora frutto di una scoperta inattesa; in ognuna di queste condizioni il cambiamento ha bisogno di “ripetizione”. Aristotele scriveva: “Noi siamo ciò che facciamo ripetutamente”. Infatti, il cambiamento che rimane solo a livello del pensiero tenderà a dissolversi non trasformandosi in uno schema comportamentale adattivo.
Come si coltiva la capacità di cambiare? Metodologie per attivare il cambiamento.
La capacità di cambiare va coltivata. Ai leader, ai manager, ai genitori, e a noi in primis è richiesta la capacità non soltanto di adattarsi alle trasformazioni ma di guidarle. Esistono alcune metodologie che ci predispongono al cambiamento.
- Immaginare lo scenario peggiore. Pensare al peggio, o piuttosto, al contrario, è un ottimo modo per attivare un cambiamento. Immagina un professionista all’apice della sua carriera, può ritrovarsi a reiterare comportamenti che nel corso degli anni gli hanno permesso di avere successo, con il rischio che, proprio quei comportamenti siano la causa dell’incapacità di avanzare ulteriormente. In questo caso, la prima importante manovra di cambiamento consiste nel far riflettere la persona su ciò che dovrebbe fare quotidianamente per peggiorare, anziché migliorare, la sua situazione. Questa prescrizione, basata su una vera e propria logica paradossale, gli permette di attivare nuovi sensori, facendola rendere conto che, insistere su ciò che si è sempre fatto non poterà a nulla di nuovo. Il metodo del paradosso è un metodo antico che dimostra che l’eccellenza è un’attitudine a cercare costantemente di migliorarsi, trovando modi diversi di fare le stesse cose.
- Fare domande strategiche. Condurre la conversazione maieuticamente stimola a prendere in considerazione aspetti nuovi. Muovendoci da interrogativi più generali, fino a domande più specifiche è possibile disinnescare convinzioni radicate, introducendo le premesse per operare un cambiamento. Se abbiamo detto che cambiare è difficile, allora bisogna sgarbugliare la matassa, fare a fette il problema per renderlo il più lineare possibile. Uno dopo l’altro, vanno individuati gli ostacoli da rimuovere e gli step necessari a realizzare il cambiamento. Immaginiamoci di dover operare un cambiamento aziendale serve chiedersi: quali procedure o strutture preesistenti limitano la trasformazione? Quali competenze servono attivarla? Quali figure incoraggiano o scoraggiano il cambiamento? Quali abitudini serve innestare tra le persone? Quali strumenti ostacolano o facilitano il progetto?
- Evocare sensazioni. Quando gli esperti di marketing studiano come convincerti a comprare un prodotto, immaginando l’advertising perfetto, giocano con le tue sensazioni. In questo modo, il piacere provocato dal cambiamento non è più qualcosa di futuro e sconosciuto, ma diventa qualcosa che può essere già assaporato. In sostanza, il cambiamento, dall’essere un compito faticoso, assume le sembianze di qualcosa di intrigante e lo è quanto più chi te lo propone è in grado di farti vedere la cima della montagna e, aggiungerei, la vista mozzafiato che avresti da lì!
- Riassumere per ridefinire. Dare indicazioni operative chiare e mirate è importante se si vuole guidare un cambiamento. Essendo il cambiamento qualcosa di inaspettato, sorprendente e sconosciuto, per affrontarlo e gestirlo a dovere servono linee guida precise. Ecco perché riassumere, perimetrare e indirizzare sono azioni utili a realizzare cambiamenti efficaci.
Cambiamento e trasformazione
In un mercato complesso ed esigente come quello attuale, lil cambiamento è una costante. La sfida sta nell’interpretare l’esigenza di cambiare come un’esigenza di trasformazione. Tra “cambiamento” e “trasformazione” c’è una differenza: la trasform-azione porta a pensarci come co-creatori del cambiamento, cioè a vederci protagonisti del nuovo, o meglio, di una normalità che è sempre in movimento ma coerente con la propria identità. In generale, i cambiamenti non sono altro che nuovi comportamenti e nuove abitudini che instauriamo perché vediamo il vantaggio (e non solo le criticità) di fare cose nuove o trovare nuovi modi di fare le cose. Il punto è che, solo quando il cambiamento diventa un abitudine si opera una vera trasformazione ed è solo quando c’è una vera trasformazione, che ci possiamo dire capaci di abbracciare il cambiamento.