Catapultati.
L’evoluzione dei modelli di lavoro in-pandemia
Catapulte.
Il Coronavirus ha modificato la società. Oggi, a distanza di qualche mese, possiamo dirlo, anche se, ancora, non sappiamo bene come. L’eco di queste modifiche si respira in tutti i rapporti interpersonali e si ripercuote sulle modalità in cui i governi e la società civile si stanno organizzando. C’è un nuovo assetto per le scuole, per gli stadi, per le sale da ballo, per i concerti e gli show televisivi e, ovviamente, non potevano mancare le aziende.
Nelle aziende, indipendentemente da forma e dimensioni, si è discusso tanto della “risposta alla pandemia”. Per qualcuno è stata a tutti gli effetti una risposta, per altri più una reazione. Fatto sta che, a lockdown annunciato, la maggior parte delle organizzazioni che per tipologia di lavoro era “adatta” è stata catapultata nell’avanguardistico mondo del “100% Remote Working” con tutti i benefici e i malefici del caso. Esattamente, perché, come avrebbe detto Sofocle se fosse vissuto ai giorni nostri: ogni cosa rivoluzionaria e avanguardistica, apparentemente è “una figata”, ma si porta sempre dietro la sua maledizione.
Da Remoto ?!
A fronte di questa transizione obbligata, gli esperti che studiano i modelli organizzativi e l’organizzazione del lavoro, si sono esposti dicendoci che i prossimi anni vedranno una transizione accelerata verso modalità di lavoro da remoto.
Dire “da remoto” vuol dire tutto e niente e, spesso, c’è una grande confusione terminologica quando si parla di “lavoro da remoto”.
Il telelavoro, che in Italia la legge chiama — forse impropriamente — “Lavoro Agile”, è la concretizzazione per eccellenza del lavoro da remoto: semplicemente, prendi sedia e scrivania e dall’ufficio la posizioni a casa tua. Niente di più. Continuerai a fare le stesse identiche cose in un setting diverso. In Italia il telelavoro è regolamentato, cosa, invece, che non è vera per lo Smart Working. Quando si parla di Smart Working o di “Agile-Working”, ci si riferisce, infatti, ad una modalità di lavoro che potremmo definire “funzionale”, capace di combinare la giusta dose di presenza e la giusta dose di remote-working.
In altre parole, tutte le volte che sentiamo parlare di Smart Working è scorretto associarlo al solo lavorare da casa perché, se si vuole essere “Smart” al 100%, si capirà bene che certe cose hanno un valore se fatte in autonomia, mentre altre hanno un valore enorme solo se partecipate. Stando a queste definizioni, possiamo essere d’accordo con coloro che prospettano un’accelerazione verso forme di organizzazione del lavoro più Smart, ma è legittimo avere dei dubbi nei confronti di chi auspica ad un totale trasferimento della dimensione professionale nella dimensione privata, familiare, cioè di chi vuole al 100% un ufficio fatto in casa.
Nel mezzo del cammin… mi ritrovai per una selva oscura
Prima del lockdown chi lavorava da casa al 100%? Nessuno. Ma come? Non è vero! (Starai pensando). Se ci pensiamo bene, è il lockdown che ci ha costretti tutti in casa.
Altrimenti, anche i liberi professionisti, quelli che lavorano online, i professionisti dell’I-Tech, perfino gli Youtuber o gli Influencer, nel pre-pandemia, svolgevano certe attività da casa (probabilmente la maggior parte) ma poi per riunioni, meeting, eventi, fiere, conferenze, campagne avevano la loro buona dose di “non-remote-working”, che forse potremmo tradurre con “una buona dose di socialità”.
Se mi prendo ad esempio, io venivo da 8–9–10–11–12 ore di lavoro al giorno, a circa 50km da casa. E’ chiaro che se sei messo così la prima cosa che pensi è: figata! E considerando la situazione italiana, probabilmente siamo in tanti ad averlo pensato.
Svolgere la propria attività professionale da casa ha i suoi vantaggi. Il primo fra tutti è la concentrazione. Il cosiddetto “Think Time” — il tempo per pensare — per non lasciarsi distrarre. Poi c’è pure il vantaggio dell’operatività, dove non c’è ancora un robot o un automatismo a fare operazioni ripetitive, è chiaramente più sensato operare in solitudine: sei più veloce, più efficace. Ancora, il fatto di non doversi spostare ogni giorno ha un impatto sui costi di trasporto fortissimo, sia in termini economici che di tempo. Questo equivale a più tempo per sé, più tempo per la propria famiglia. Un bel bagaglio di vantaggi! A confermarlo sono anche una serie di studi recentissimi che hanno dimostrato che i remote-workers godono di un migliore benessere, hanno il morale più alto e sono molto più produttivi. Insomma, confermano che potrebbe essere una figata!
Potrebbe perchè c’è un “Ma…”, o forse anche più di uno.
Se una persona lavora per prendere lo stipendio, senza aspirazioni né interessi è chiaro che ricevere la busta paga qui o lì non fa la differenza. Se ci aggiungi il risparmio netto che il lavoro da casa garantisce non fai solo 30, ma anche 31. Ma — ma veniamo al “Ma…” — se uno lavora per crescere, per sentirsi motivato, per evolvere in termini di competenze, per aumentare il proprio network di relazioni professionali significative, per trovare stimoli spontanei e costanti, è chiaro che non può esimersi dal girare la medaglia anche dall’altra parte. E la figata… potrebbe essere una selva oscura. Potrebbe.
I 3 contraccolpi più significativi del “100% Remote Working” possono essere sintetizzati in:
- Contraccolpi di natura psicologica.
Al di là del fatto che le persone potevano e possono sentirsi stressate e ansiogene per la “situazione Coronavirus”, è vero anche che lavorare da casa è stato per moltissimi sinonimo di lavorare di più. Uno dei primi sintomi che chi ha provato riconosce è proprio l’incapacità di staccarsi dalle attività di lavoro. Il tempo va, passano le ore e tu… tu stai ancora lavorando. E’ chiaro che il fattore tempo contribuisce — e non poco — al livello di stress percepito. Ma “quanto lavori” non è tutto. Fai uno sforzo di comparazione e pensa a quanta carica emotiva aveva l’espressione “Inizia il Weekend” il Venerdì alle 18:30 prima e durante il lockdown? Prima c’era una porta da oltrepassare, un cancello da cui uscire e si staccava la spina. Ora è più facile rimanere in un limbo tra dimensione professionale e dimensione personale che crea confusione e impedisce il pieno riposo. Ovidio diceva che “solo un campo che ha riposato produce un raccolto abbondante” e staccare concretamente, uscire fisicamente, aiuta.
Sempre restando nell’area psicologica, non dobbiamo dimenticare la nostra natura. Evoluzionisticamente, gli esseri umani, hanno imparato a sopravvivere fornendo risposte comportamentali adeguate agli stimoli recepiti dal mondo esterno. Il contatto con una specifica situazione, l’essere nel contesto fisco — e non virtuale — ci semplifica il lavoro. In altre parole, stando a casa, in un contesto distante da quello professionale, la nostra capacità di convertire stimoli percettivi in adeguate risposte comportamentali, diminuisce. Così diventiamo meno bravi a “sentire”, “percepire”, “prevedere”, “rispondere” in situazioni professionali. Perdi il polso delle situazioni e questo ridotto senso di controllo genera ulteriore stress psicologico. Come ci direbbero i teorici cognitivi che supportano la cosiddetta “teoria della mente estesa”: la nostra mente si estende nell’ambiente circostante, così dunque la nostra capacità di pensiero, al punto che bisogna fare molta attenzione a separare la dimensione cognitiva da quella fisica perché questo potrebbe avere conseguenze sulle nostre modalità decisionali e comportamentali non irrilevanti. Senza sembrare tragici e per essere il più concreti possibile: se da casa puoi gestire il progetto X dal punto di vista dei task che devi eseguire per completarlo, non puoi capire altrettanto bene come ti dovrai comportare per negoziare con lo stakeholder che dovrà dirsi se vorrà realizzarlo oppure no.
C’è una teoria dal nome self-determination theory che delinea, tra gli altri, tre bisogni psicologici innati che accomunano ogni uomo, capace di migliorarsi e crescere laddove riesce a esprimere autonomia, competenza e relazioni. Il lavoro Smart in tempi normali, quando è possibile alternare il lavoro in sede e quello fuori sede, permette di coltivare tutte queste tre doti, con esiti positivi. Ecco perché, se vissuta bene dalle persone e gestita bene dalle aziende l’esperienza “Remote-Smart-Working” è una figata!
2. Contraccolpi di natura organizzativa
Ma le aziende erano pronte?
Più volte sono stata coinvolta in ragionamenti sul fatto che il Remote Working non può essere considerato come un esito, punto e stop, ma piuttosto come un punto di arrivo di un percorso ben più strutturato e sicuramente necessario. E lo è. E’ così.
Un’organizzazione che dall’oggi al domani si riorganizza in remoto potrebbe avere effetti collaterali indesiderati. Per essere più chiari, se si è sempre stati abituati a lavorare in un certo modo e si viene catapultati in un altro modus operandi, ce la si può fare — vero — ma pian piano ci saranno dei buchi da colmare, step saltati, da ripercorrere, aspetti tastati in fretta e furia da consolidare.
Bisogna acquisire tutti gli strumenti necessari, imparare a lavorare e comunicare in modo asincrono, diventare più organizzati e disciplinati per favorire lo scambio di informazioni tra colleghi che non sono più vicini di scrivania, per far fluire i processi. Insomma, alle aziende spetta un percorso di transizione culturale non da poco.
3. Contraccolpi di natura sociale
Il sociologo dei consumi Mauro Ferraresi spiega all’Huffington Post perché non torneremo proprio come prima: “Nascerà un’economia del Covid. Lo smart working finirà, ma questa crisi è come un setaccio: alcune cose riescono a passare, altre no”. Il suo obiettivo è quello di mettere in evidenza il tema dei “consumi”: lavorando tutti da casa le città si svuotano e altri non lavorano. Per cui se è forte l’etica ambientalista con cui si sostiene l’impatto positivo del remote working, è altrettanto forte l’etica sociale che fa ricadere il focus sull’importanza di tutelare il lavoro di chi non ha alternative alla presenza fisica. Anche se qui si esce dal terreno di che cosa è meglio o non è meglio per le aziende, per l’efficienza e la produttività del lavoro, bisogna ricordare che è sempre uno dei temi sul tavolo.
Ciò che si può trarre da tutto questo discorso è che il Coronavirus è stato una scossa di terremoto. Alcuni edifici sono crollati, altri sono rimasti intatti cosi come erano, altri hanno perso dei pezzi e sono stati ricostruiti. Alcune aziende hanno intrapreso un percorso prima del previsto. Pensiamo al settore pubblico. Perché mai dovevo fare la coda allo sportello per ritirare un documento? Ora me lo mandano via e-mail! Era ora!!! Andava perfino di moda il meme “Ah, ma allora si può fare” per dire che, alla fine, “la catapulta” ha prodotto benefici in tempi brevi.
Il lavoro da remoto ha messo sicuramente in discussione modelli organizzativi più o meno solidi, ha reso più attraenti alcune aziende, ha complicato alcune attività. Ma in generale, se “Remoto” è “Bilanciato” e dunque “Smart” vale la pena di provare!!!