Come le neuroscienze possono contribuire al nostro processo di apprendimento

Federica Ongis
7 min readMar 11, 2023

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Le chiamano “neuroscienze dell’educazione” e si tratta di un termine ampio per racchiudere un campo di ricerca interdisciplinare che prova a tradurre i risultati della ricerca sui meccanismi neurali dell’apprendimento in pratiche e politiche educative. La capacità di imparare, di acquisire nuove informazioni, elaborale, confrontarle ed evolverle è da sempre stata la facoltà distintiva dell’essere umano. Dai primi computer ai più recenti sistemi di intelligenza artificiale, la tecnologia è sempre stata una delle evidenze più tangibili del sogno umano di sfidare e andare oltre i propri limiti cognitivi, risucchiando conoscenza, assorbendo un numero pressoché illimitato di informazioni, raccogliendo competenze. Questo tentativo traduce un messaggio chiaro: l’apprendimento è una risorsa chiave per l’evoluzione della nostra specie e lo è ancora di più in un’epoca di grandi cambiamenti sociali, economici, culturali e digitali. Pertanto, è essenziale, coltivare e continuare ad esplorare le pratiche più efficaci che gli esseri umani mettono in pista per formarsi ma, soprattutto, è essenziale allineare le pratiche di apprendimento a quanto le nuove frontiere della ricerca ci dicono; affinché il processo di acquisizione di competenze e di formazione della persona sia il più efficace e il meno faticoso possibile.

Quali sono, quindi, le strategie che le neuroscienze ci suggeriscono per migliorare il modo in cui acquisiamo conoscenza e competenza?

Rispettare il cervello

Se vogliamo apprendere con efficacia la regola n.1 è: rispettare il cervello. Nieves Maya Elcarte è una ricercatrice che ha studiato per oltre 30 anni il cervello umano e le applicazioni delle ricerche neuroscientifiche ai processi di apprendimento. Una delle premesse fondamentali che la studiosa mette in campo è questa: “il cervello può essere educato, ma può essere educato tanto meglio quanto più i processi con cui apprendiamo ne rispettino le condizioni”.

Fatta questa premessa, occorre chiedersi: quale è l’obiettivo principale del cervello umano? L’obiettivo più profondo e radicato del nostro cervello è quello di lavorare alla nostra sopravvivenza (farci sopravvivere). Solo quando la sopravvivenza è garantita allora esso può prepararsi a prendere in considerazione altre informazioni. Questo significa che, fin dalla nascita, siamo programmati a mettere in campo certi comportamenti che, poi con il tempo, impariamo a “de-programmare” con l’obiettivo di acquisire nuove conoscenze. Per questo motivo, i primi 5 anni di vita rappresentano una fase cruciale nel processo educativo di qualsiasi essere umano. Durante la nostra vita, così come qunado siamo molto piccoli, viviamo alcune fasi dette “periodi sensibili”, in cui una maggior neruoplasticità ci permette di immagazzinare informazioni più in fretta e in maniera duratura, senza troppo sforzo. Sfruttare queste fasi con il giusto tempismo per dedicare spazio alla formazione è cruciale per incrementare il nostro potenziale sfruttando la reattività che il nostro cervello ci offre.

I principali fattori che impattano sull’apprendimento

(1) Le emozioni. Impariamo ciò che ci emoziona e impariamo tanto più da ciò che ci emoziona in positivo perché le emozioni positive aiutano il nostro cervello a fissare informazioni nella nostra memoria. Non è un caso che in psicologia si parli di “rinforzi positivi” o di “ricompense” quando si vuole dare un segnale al paziente per stimolare la continuità di un comportamento riconosciuto come “buono”. Ma perché le emozioni significano tanto per l’apprendimento? Se volessimo dare una rappresentazione generale (e anche un po’ semplicistica) del cervello umano, potremmo distinguere tra due aree: la corteccia, la parte più razionale del nostro cervello, e il sistema limbico, quella in cui si sviluppano ed evolvono le nostre emozioni. Entrambe queste due parti comunicano continuamente il che significa che le nostre emozioni hanno continuamente un’influenza sull’apprendimento poiché il cervello è un macchina che fintanto che funziona, non smette mai di apprendere. Rafforzare la comunicazione tra queste due aree cerebrali è un’ottima strategia per rafforzare l’apprendimento.

(2) La motivazione. La motivazione è il motore, è ciò che spinge il cervello a tradurre tutto ciò che accade al suo interno in azioni. Quando i bambini vogliono imparare ad andare in bicicletta o gli adolescenti a guidare la macchina per avere la patente di guida, imparano in fretta perché c’è dell’altro: la motivazione di aprirsi nuove occasioni sociali, un desiderio accettazione di gruppo, indipendenza, … Intrinseche o estrinseche che siano, affinché la formazione conduca effettivamente all’acquisizione di una competenza, una conoscenza o un’abilità, è necessario che i suoi obiettivi siano allineati agli obiettivi delle motivazioni che ci spingono in quel processo di apprendimento. Diversamente, si tratterebbe di un’operazione molto faticosa, poco pragmatica, che il nostro cervello rimuoverebbe rapidamente per fare spazio a ciò che considera più interessante e più coerente.

(3) Ansia e stress. Uno dei modi migliori per apprendere è farlo rilassati e senza ansie eccessive. Quando ci sentiamo sotto pressione o abbiamo la sensazione che qualcuno ci stiamo imponendo di apprendere qualcosa, l’istinto di sopravvivenza e la rivendicazione della nostra libertà cognitiva prevarica, costringendoci in un approccio difensivo che ostacola l’apprendimento. Non è un caso che molte persone si rendano conto di apprezzare la lettura e lo studio dopo gli anni scolastici perché in quegli anni, tali esperienze formative, vengono spesso imposte dai docenti.

(4) L’attenzione . L’attenzione è essenziale per produrre conoscenza consapevole. Tuttavia, l’attenzione è quanto di più scarso gli esseri umani abbiano. Mantenerci attenti è faticoso. L’attenzione varia a seconda dell’età: i bambini perdono l’attenzione molto più rapidamente degli adulti. Gli insegnanti, i coach o i formatori sanno che il tempo dedicato ad escogitare soluzioni per mantenere viva l’attenzione degli studenti è forse tanto più importante del trasferire contenuti in sé e per sé, poiché, senza la prima non c’è contenuto che passi. Una tecnica efficace per coltivare l’attenzione è la frammentazione. Fare a fettine ciò che si vuole apprendere, raggruppare e associare i contenuti in modalità differenti, aiuta il cervello a mantenersi allerta.

(5) La memoria. La capacità di apprendimento del nostro cervello è illimitata, ciò che è limitata è la nostra memoria. Purtroppo o per fortuna, nel nostre cervello non ci sta tutto. Il desiderio di ricordarci tutto, di saper fare tutto, di conoscere tutto è un sogno che possiamo immaginarci di trasferire alle macchine ma di certo non è prerogativa dell’essere umano. L’apprendimento è vincolato alla memoria e la memoria, purtroppo o per fortuna, è limitata. Si può lavorare per incrementarla, rafforzarla e allenarla, tuttavia, ad un certo punto, il nostro cervello deve operare una scelta e così finisce per selezionare e conservare in memoria soltanto due informazioni e competenze: (1) quelle utili e (2) quelle emotivamente radicate. Una delle tecniche più utilizzare per lavorare sulla memoria è la ripetizione distanziata e la pratica distribuita: si tratta di due tecniche che impiegano l’effetto spaziatura, cioè brevi sessioni di apprendimento (meno di 30 minuti) distribuite su lunghi periodi di tempo. La ricerca mostra che distribuire l’apprendimento nel tempo e ripetere le informazioni su periodi crescenti rafforza la memoria e protegge dall’oblio.

(6) Gli altri. Fin dai tempi più antichi l’essere umano ha scoperto che il modo migliore per imparare è imitare gli altri, formarsi con gli altri, allineare i propri obiettivi di conoscenza a quelli del gruppo. In tal senso, non c’è verità più vera di dire che “il sapere è saper fare” e che “il contesto è tutto”. L’apprendimento generativo che include attività come creare, insegnare qualcosa agli altri, sperimentare l’apprendimento in contesti del mondo reale migliora la memoria, la comprensione, la profondità e l’ ampiezza dell’apprendimento perché si tratta di un modo di apprendere generato dall’esperienza e coltivato nell’esperienza.

(7) Le condizioni fisiche. Il cervello è l’organo del corpo umano che consuma più energia di tutti ed è, dunque, anche il primo a soffrire quando dil nostro stile di vita non ci mette nelle condizioni di “dargli da mangiare”. Una delle premesse chiave per favorire il processo di apprendimento è prenderci cura del nostro corpo e, allo stesso tempo, del nostro benessere cognitivo. Dormire a sufficienza, prendersi delle pause, allenarsi, mangiare salutare sono suggerimenti che fanno parte della ricetta per predisporre il nostro cervello all’apprendimento, migliorare le nostre abilità cognitive e, con esse, il accrescere le occasioni di apprendimento.

(8) Gli errori. Imparare dagli errori, tutti lo diciamo e tutti l’abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita. Quando si dice che “sbagliando si impara” si ha ragione. Ciò è dovuto al cosiddetto “approccio correttivo del cervello”. Il cervello, infatti, itera ciò che funziona, perciò quando qualcosa non va per il verso giusto si attiva immediatamente per apportare una correzione. Questa attivazione intenzionale o forzata costringe il cervello a dedicarsi ad un’azione correttiva che imprime nella nostra memoria gli effetti delle nostre azioni o decisioni e ci induce a ricercare possibili soluzioni correttive. Analizzare gli errori è una delle tecniche più efficaci per velocizzare il processo di apprendimento.

Vantaggi

Quali sono i vantaggi di conoscere alcuni dei meccanismi cognitivi sottesi al modo in cui apprendiamo? Massimizzare il nostro potenziale, ridurre al minimo gli sforzi cognitivi e lo spreco di energie, attivare meccanismi per migliorare le nostre abilità e competenze, rafforzare la nostra memoria e, soprattutto, la nostra flessibilità mentale oltre che migliorare la nostra produttività. Oggi si sente parlare spesso di “nuero-didattica” per riferirsi a quel modo di insegnare che prova ad evincere dalle ricerche neuroscientifiche alcune strategie utili a rendere la formazione il più efficace possibile, abbracciando questo approccio. Al di là degli scopi didattici, quel che è valido in generale è sapere quanto sia importante conoscersi e conoscere il potenziale del proprio cervello per sfruttarlo al massimo nel tentativo, non solo di apprendere più efficacemente ciò che ci interessa imparare, ma anche nella volontà di mantenerci competitivi attraverso il riconoscere quando apprendere sia uno tra gli elementi strategici chiave della sopravvivenza e del successo della nostra specie.

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Federica Ongis
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Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

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