Come si costruisce un team che funziona?
David Silverman è un veterano pluridecorato con alle spalle innumerevoli missioni militari in tutto il mondo. Oggi è co-fondatore di CrossLead, una realtà creata in collaborazione con il Generale Stanley McChrystal per facilitare l’adattamento e il successo di organizzazioni di ogni genere e dimensione in ambienti complessi.
Complicato vs Complesso. Il Taylorismo.
Se vogliamo comprendere come costruire un team efficace dobbiamo fare affidamento ad una prima distinzione. Una distinzione che lo stesso David ci propone: c’è una differenza tra complicato e complesso.
Uno scenario complicato ha una sua forma, una struttura piuttosto chiara, che rende dura la scelta su come gestirlo, ma non impossibile. Una situazione è complicata quando è difficile scegliere come risolverla nella consapevolezza che questo si possa fare. La complessità è ben altra cosa. Si dice che una situazione è complessa quando potrebbe dare adito a così tanti scenari che di fatto diventa impossibile provare a risolverla adottando un approccio basato sul rispetto di procedure e regole. Perché è importante questa distinzione quando si parla di team? Perché non solo in campo militare, ma anche nelle organizzazioni e in modo ancora più evidente nella società quello che sta succedendo di fronte ai nostri occhi è il passaggio da uno scenario complicato, nel quale diversi eventi anche quando combinati tra loro possono comunque essere affrontati tramite l’applicazione di sistemi di regole, a uno scenario complesso, dove le possibilità sono numerose a un livello tale da rendere fuori discussione una preparazione adeguata e l’unica soluzione rimane praticare attivamente l’adattabilità.
Pertanto, a fronte di una realtà complessa, per avere una chance, serve superare il sistema della catena di montaggio: il taylorismo dev’essere dismesso. Perché, al di là del successo iniziale, che ebbe nei sistemi produttivi del secolo scorso, nelle fabbriche, oggi, sezionare i compiti o promuovere solo l’iper-specializzazione che induce le persone ad essere incapaci di essere flessibili in termini di competenze e di adattabilità, potrebbe costarci davvero caro. Il modello della catena di montaggio penalizza la risorsa più fondamentale che ha un team e cioè il cosiddetto “comportamento emergente”.
Il comportamento emergente
Per affrontare contesti professionali complessi, cioè volatili e imprevedibili, serve stimolare il comportamento emergente. Il comportamento emergente è il risultato della fiducia e della cooperazione che si stabilisce tra membri di un team, che porta la squadra a raggiungere risultati e soluzioni che nessun membro, separatamente, sarebbe riuscito a raggiungere o a mettere in pratica. Numerose ricerche ci dicono che gli esseri umani amano condividere. Siamo esseri cooperativi in fondo. Al di là del genere, dell’etnia, del ceto sociale, e di qualsiasi altra forma di categorizzazione, è stato dimostrato che le persone tendono a condividere tra il 40% e il 50% di ciò che possiedono. Molto più spesso di quel che pensiamo mettiamo in campo comportamenti “pro-sociali”. Una squadra ha proprio questo scopo: aumentare la condivisione attraverso la cooperazione e la fiducia per aumentare l’efficacia e il potere.
(1) Detto questo, se vogliamo stimolare un team la prima cosa che dobbiamo fare è rinunciare alla gerarchia. Squadra e gerarchia faticano a stare insieme, eppure nella maggior parte delle organizzazioni sono contestuali. Perché? Perché la gerarchia presuppone rigidità, ordine, regole, schemi decisionali che limitano l’interconnessione, la cooperazione e l’efficacia di un team. Rallentano le decisioni. Diminuiscono il coinvolgimento.
(2) Al secondo posto c’è l’addestramento. La Marina Militare degli USA ha un addestramento che si chiama BUD/S (Basic Underwater Demolition / Seal) che consiste in una serie di esercitazioni in situazioni di stress estremo. Dura 6 mesi e la maggior parte dei soldati abbandona dopo pochi giorni. La vera base per riuscire a diventare un soldato SEAL è infatti tutta nel lavoro di squadra dato che la maggior parte degli obiettivi per essere superati devono essere affrontati come minimo in coppia. Chi supera l’addestramento entra non soltanto all’interno delle forze speciali, ma anche a fare parte di una squadra basata su fiducia ed esperienze condivise. Il vero scopo degli allenamenti BUD/S infatti non è quello di creare soldati invincibili, ma team invincibili. Lo spunto principale che deriva da questi addestramenti è uno: essere pronti a gestire situazioni complesse in team facilita il perseguire soluzioni che siano davvero nell’interesse di tutti.
(3) Il terzo elemento fondamentale per stimolare l’emergere di un comportamento di squadra virtuoso è la struttura. Più che la strategia oggi conta la struttura. Le ricerche dell’antropologo Robin Durban ci dicono che una persona può arrivare a fidarsi di 100 o 200 persone, in base al suo grado di estroversione (all’incirca, è il numero limite che sopporta il nostro cervello). Tuttavia, molte analisi sulla composizioni ideale di un team ci dicono che il team dev’essere fatto al massimo da 5 persone. Con 5 persone si genera un’interazione neuro-dinamica tale da formare: un vero e proprio cervello di squadra (metamemory). Questo è vero perché l’elemento competitivo che appartiene all’essere umano non può essere annullato, specie se non si creano legami forti con i membri della propria squadra e, chiaramente, con 200 persone si può essere connessi ma non legati strettamente. Quando si parla di struttura entra in gioco anche un altro pericolo: i silos. Si potrebbero anche creare tante piccole squadre che tra loro funzionano, ma che poi non comunicano e questo rallenta e mette a rischio le operazioni. Peggio ancora: i gruppi non comunicanti sono peggio degli individui non comunicanti perché con i gruppi viene ancora meno il concetto di “chi è responsabile”. Quale è la soluzione? La chiave per uscire da questo stallo è la creazione di una squadra di squadre che si sentano tutte parte del progetto comune.
Per ottenere una “Squadra di squadre” serve mettere in atto una serie di azioni:
- Condividere le informazioni in modo trasparente con tutti per aumentare l’engagment.
- Lavorare in spazi che promuovono la cooperazione (IWC).
- L’embed (incorporare) di risorse di una squadra in un’altra squadra per un arco di tempo più o meno prolungato. La squadra ospitante, è naturale, che con il passare del tempo, tenderà ad inglobare la risorsa, considerandola a tutti gli effetti parte del “noi”.
- Decentralizzare il potere decisionale. Ogni membro della squadra deve poter prendere decisioni. Questo permette di trasferire accountability a ciascun membro della squadra e ad agire con rapidità.
- Stimolare la diversità cognitiva. Maggiore è il mix di attitudini, di schemi mentali, di competenze oltre che di diversity in senso stretto, maggiore è il potenziale di una squadra.
- Aumenta la complementarietà delle risorse per avere una squadra bilanciata e ricca.
- HHC — Humor, Happiness, Cooperation: stimolare questi tre comportamenti, l’umorismo, la gioia e la cooperazione, aiuta lo sviluppo cognitivo della squadra oltre che accrescerne la motivazione. Alcuni studi mostrano che ridere e scherzare rinforza le connessioni; che la gioia aumenta la creatività e l’interesse; che la cooperazione incrementa il nostro “senso morale” e quindi sprona le persone a farsi carico del lavoro migliorando l’interdipendenza professionale.
Perché è importante che un team funzioni?
Il fattore “squadra” è fondamentale. Per via della complessità lo è forse più delle competenze singole. Alcuni dati rivelano che fino a 60 mila € all’anno sono i costi che un’azienda potrebbe dover sostenere a causa di gruppi di lavoro inefficaci o poco equilibrati. A partire da questa constatazione oggi esistono addirittura sistemi di A.I creati per creare il perfetto match tra i membri di un team in termini di skills e personalità. Al di là del match iniziale, che potrebbe avere tanti limiti, una cosa appare efficace per la costituzione del proprio team: per cooperare serve addestramento!