Il potere della Filosofia nell’era dell’AI

Federica Ongis
4 min readOct 12, 2024

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Una persona intelligente è una persona che sa cosa vuole. Una persona saggia è una persona che sa cosa non vuole — Jack Ma. Le macchine possono essere più intelligenti di noi, ma non possono essere più sagge. Grazie al machine learning, possono utilizzare il cervello meglio di noi, compiere task con maggiore precisione, rapidità ed efficienza, ma non hanno intuizioni o emozioni. Per questo, tutti, dovremmo imparare come esser saggi prima ancora che come esser intelligenti.

Che cosa sta succedendo oggi?

Ovunque ti giri oggi senti parlare di Intelligenze Artificiali, di macchine performanti capaci di battere l’uomo in innumerevoli aree. Dall’ingegneria alla creatività, nessuno ne esce intonso. Il successo degli algoritmi ha indotto molte persone, organizzazioni e società a condividere alcune preoccupazioni: dalla sicurezza dei sistemi progettati o utilizzati impropriamente e cioè soggetti a causare incidenti che potenzialmente possono metterci in pericolo; alle preoccupazioni sulla privacy e la sua tutela; così come anche alle discussioni sulle questioni etiche che vanno dalla considerazione dei bias potenzialmente contenuti negli algoritmi i quali possono avere impatti discriminatori, fino ai dibattiti sulle decisioni più o meno appropriate, o più o meno dannose di chi detiene il controllo dei dati e degli strumenti. Ovviamente, la prima preoccupazione in assoluto è ben altra, ovvero: la paura di perdere competitività in quanto esseri umani, con un competitor che non appartiene alla specie Homo Sapiens. Insomma, governi, aziende e in primis ognuno di noi si chiede: “Perderò il mio lavoro? Le mie competenze continueranno a darmi l’occasione di distinguermi? Potrò apprendere dalle macchine o saranno le macchine ad apprendere da noi senza darci niente in cambio?”.

Cosa accadrà?

Che cosa accadrà è un mistero. C’è spazio soltanto per previsioni o ipotesi. Quel che possiamo però osservare è che come ogni fatto, anche quello dell’AI dev’essere preso come tale. Non è ne un bene, ne un male di per sé, è un fatto. Ciò ci impone di posizionarci in un certo modo e fare alcune considerazioni.

Prima considerazione. Dal punto di vista operativo ci viene in soccorso il paradosso di Jevons. Jevons, economista britannico dell’800, ci insegna che, molto spesso, l’introduzione di una nuova tecnologia non cancella posti di lavoro ma sposta le attività e il focus dei lavoratori, addirittura incrementandone la richiesta. Questo perché, contrariamente all’intuizione comune, un aumento dell’efficienza nell’uso di una risorsa non ne riduce il consumo, bensì ne aumenta la domanda. Fu il caso del mercato dell’automobile con l’introduzione del sistema Ford, o, per fare un altro esempio, il caso dell’avvento delle luci led nelle nostre case. Siccome consumano meno energia, e proprio perché consumano meno energia, siamo portati ad illuminare la nostra casa h24 e alla fine dei conti i nostri consumi non diminuiscono affatto. Lo stesso esempio vale nel caso dell’introduzione dell’AI: l’incremento dell’efficienza ci indurrà a fare ciò che facciamo oggi in tempi più brevi e così ci spingerà a portaci a casa più lavori, provocando un’estensione del nostro mercato, o a focalizzarci su compiti diversi o ancora a restituirci un’interpretazione diversa del nostro valore aggiunto.

Tutto questo non senza il lato oscuro della medaglia: ovvero quante cose possiamo fare? Il rischio è quello di cadere nella trappola di ritmi troppo veloci che non fanno altro che restituirci un approccio superficiale alle cose. Matrice e premessa di grandi frustrazioni. Molte più del fare poche, semplice cose ma buone.

… e veniamo così alla seconda considerazione: sarà sempre più importante, per l’essere umano, scommettere sul proprio elemento differenziante che non è tanto l’intelligenza, bensì la saggezza nel suo significato più antico e profondo. Oggi si parla di AI capaci di imitare i processi cognitivi umani, perfino quelli più complessi, macchine che sanno elaborare informazioni e prendere decisioni complesse, robot umanoidi ma niente di tutto ciò detiene il potere della coscienza o della comprensione, ovvero le chiavi della porta della saggezza umana. E proprio quando si parla di saggezza, tra tutte le discipline che vanno di moda oggi, dall’ingegneria, alla statistica, alla marketing, alla medicina … torna in prima linea la filosofia, l’unica vera scienza che, come diceva Confucio e prima di lui Socrate con altre parole: è l’unica scienza che offre la vera conoscenza, perché la conoscenza altro non è che l’estensione della propria ignoranza. Essere filosofi significa nutrire la propria curiosità e il pensiero critico affidandosi a ciò che va oltre la mera razionalità logica-deduttiva. Platone descriveva la filosofia come “ la più alta musica”, perché nelle sue varie espressioni, è l’unico strumento che secoli di civiltà ci hanno regalato per contunare coltivare la nostra saggezza che in fondo non è altro che una conoscenza pratica che combina la conoscenza di sé, l’esperienza, l’empatia, la capacità di giudizio e i propri valori, tenendo tutto questo in equilibrio.

Del resto, come dicevamo all’inizio: le macchine possono essere più intelligenti di noi, ma non possono essere più sagge.

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Federica Ongis
Federica Ongis

Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

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