Il potere della LEGGEREZZA: un valore, una competenza
Io penso negativo perché sono un essere umano. Se il nostro cervello potesse esprimersi nel 90% dei casi si esprimerebbe in modo pessimista. Pensar male è naturale. Si tratta di un bias cognitivo che ha a che fare con il nostro percorso evolutivo. Nel corso dei secoli, il cervello si è allenato per prepararci a diffidare, a riconoscere i pericoli per stimolarci a “metterci al sicuro”. Così, ogni volta che ci si propone di fronte agli occhi una situazione, specialmente se nuova, siamo inconsapevolmente indotti a scovare ogni forma di potenziale minaccia. A ciò si aggiunge quella che in gergo viene chiamata “ruminazione mentale”, ossia la nostra tendenza a focalizzarci su quel pensiero negativo in maniera ripetuta, circolare, e, molto spesso, sterile. La ruminazione non facilita affatto la digestione mentale, anzi, amplifica i problemi e riduce la nostra capacità di pensare diversamente. Si tratta di un circolo vizioso senza il quale, però — dobbiamo ammetterlo — avremmo avuto molti più problemi di sopravvivenza. Per dirla con altre parole, al nostro cervello piace auto-sabotarsi ed essere sospettoso, adora scovare potenziali difficoltà, immaginare lo scenario peggiore, le minacce più estreme e considerare il bicchiere più “mezzo vuoto” che “mezzo pieno” il che ci porta a dire che “c’è un terrorista in ognuno di noi”.
Il risultato di questo meccanismo mentale è una forma di paralisi del pensiero e, di conseguenza, delle azioni. Rick Hanson, nel suo bestseller “Buddha’s Brain”, descrive quello che i neuroscienziati hanno chiamato il “bias della negatività” dicendo che: “Il nostro cervello di fronte ai pensieri positivi è come se fosse foderato di teflon, quel materiale di cui sono fatte le padelle antiaderenti. La positività non attacca, mentre, al contrario, i pensieri negativi restano avvinghiati come insetti sulla carta moschicida”. Quest’immagine è molto realistica e ci spiega come il perché di tutte quelle situazioni in cui basta un commento negativo, una paranoia per annullare mesi di feedback positivi con un impatto diretto sulla nostra motivazione e le nostre prestazioni.
Lo switch dal “distruttivo” al “costruttivo” è possibile e passa attraverso la leggerezza. Essere leggeri: come si fa? Cosa significa? Innanzitutto, dobbiamo dire che “essere leggeri” non significa essere superficiali. In una delle sei Lezioni Americane tenute ad Harvard nel 1984 Italo Calvino diceva proprio che: “la leggerezza non è superficialità”. Allora che cosa è?
In primis, possiamo affermare con certezza che vivere con leggerezza è oggi una competenza vera e propria. Viviamo in un’epoca “ricca”: abbiamo sempre mille cose da fare, mille pensieri per la testa, un’infinità di stimoli, di input che ci arrivano da ogni circostanza personale e professionale che viviamo. Tutta questa “ricchezza”, il più delle volte è dispersiva e, se afflitta da loop negativi ci rende impossibile prendere le distanze. Ecco perché, ad esempio, sul lavoro, ci sono molte persone alle quali non puoi dire “è solo lavoro” perché per loro non è così. Allo stesso modo, ecco perché un problema apparentemente banale per qualcuno si trasforma in una montagna insormontabile per qualcun altro e costui non può che vederlo così. Ecco perché una preoccupazione circoscritta ad contesto può diventare un’ansia che permea ogni istante della tua giornata. Il risultato è che molte persone vivono in ansia. Essere ansiosi non è un male tout court, ma c’è bisogno di leggerezza per funzionare bene.
Vivere con leggerezza significa imparare a prendere le distanze, che non vuol dire disinteressarsi ma interessarsi al punto tale da riconoscere che ogni tanto serve svuotare la mente per poi riempirla. Sembrerà essere un’affermazione paradossale ma la mente funziona meglio “nel vuoto cognitivo” perché ha la libertà di agire creativamente. La leggerezza è un’abilità che ci aiuta a non attaccarci morbosamente a cose o situazioni per mantenerci in loop costruttivi.
Erigersi sopra le cose, direbbe qualcuno. Potrebbe essere questa la definizione della leggerezza? Anche! Quando chiamiamo in causa il giudizio di chi è esterno alle cose è come se stessimo reclamando una prospettiva leggera proprio perché ne riconosciamo il valore.
Nell’esperienza di ciascuno di noi ci sono parecchie situazioni che non possiamo cambiare, il nostro potere d’azione — sfortunatamente è limitato — ciò non deve, tuttavia, gettarci nello sconforto, quanto piuttosto essere la porta d’accesso ad un’alternativa e le alternative vengono a galla quanto più siamo bravi a scaricare pesi. L’obesità mentale, rallenta il nostro metabolismo e ci rende inefficienti. Siccome per naturale tendenza la nostra mente preferisce ingrassare che dimagrire, ecco che ci viene richiesto uno sforzo non indifferente per mantenerci agili.
Se dovessi rappresentare la leggerezza in un’immagine, mi verrebbe in mente una ballerina di danza classica. La sua migliore prestazione è quella in cui volteggia leggera, leggiadra, spontanea e disinvolta sul palcoscenico ma tutta la sua leggerezza è frutto di un impegno, duro lavoro e motivazione. Insomma, per essere incisivi e lasciare un segno profondo occorre essere quanto più leggeri.