NUDGE. Come le scienze comportamentali ti migliorano la vita
Quando serve una spintarella.
Un articolo pubblicato su Business Insider qualche giorno fa mi ha reso davvero felice. Nel testo c’era scritto:
“A Milano, nei prati della biblioteca degli alberi di Porta Garibaldi sono apparsi dei cerchi rossi. Non li hanno messi i marziani, ma chi gestisce il parco per indicare alle persone dove sistemarsi in modo da evitare assembramenti. Basta recarsi in loco per capire come l’idea abbia funzionato più di 100 divieti”. — Business Insider
Quando scrissi la mia tesi di laurea di “Nudge” non si sentiva parlare molto. Il termine e le sue applicazioni erano circoscritte al mondo anglosassone, il Regno Unito — con la sua Nudge Unit il Behavioural Insights Team — e gli Stati Uniti, durante il periodo dell’amministrazione Obama — con il Social & Behavioural Science Team. In Europa, per non parlare dell’Italia, sono ancora in molti a non sapere che cosa sia un “Nudge”.
Che cosa è un Nudge?
Il termine “Nudge” è un termine che, a dire il vero non si può tradurre. Tuttavia, in Italia, qualcuno ci ha provato ed è venuto fuori con l’espressione “la spinta gentile”.
Un Nudge è semplicemente il risultato di un processo di decision-making basato sulle evidenze. Ma che cosa significa?
L’origine della Rivoluzione
Innanzitutto, si parla di “rivoluzione” perché quando si parla di Nudge si parla di un nuovo paradigma che penetra nel terreno delle teorie decisionali.
Per capire le origini di questa rivoluzione bisogna tornare al 2002. In quell’anno Daniel Kahneman vinse il premio Nobel per l’economia grazie ai suoi studi sulla teoria della razionalità limitata. L’idea di fondo di Kahneman era semplice: “Se gli esseri umani non sono razionali — e ti faccio vedere quanto spesso questo è vero — perché i decisori continuano ad assumere che lo siano?”. Davvero una bella domanda.
Nel 2008, la crisi economico-finanziaria ha reso evidente il baco. Credevano tutti che per gli esseri umani perdere 1€ fosse come vincere 1€, purtroppo però le neuroscienze ci dicono che non è vero: “perdere 1€ è come vincerne 2,25€, se si vuole essere in pace con sé stessi” . E questo è solo un esempio per descrivere una delle prove. Le scienze umane, le scienze economiche, quelle finanziarie, quelle politiche — insomma tutte le scienze che hanno a che fare con le decisioni di noi esseri umani — hanno sempre avuto “la perfezione dell’essere umano” come punto fermo. Da questo assunto parte tutto: ragionamenti, idee, policy, valutazioni. Ma noi non siamo il Dott. Spock e la logica, la matematica, l’economia neoclassica non possono descriverci da sole.
Piuttosto, la psicologia, le neuroscienze, le scienze cognitive e comportamentali, pure la biologia e il nostro DNA (molto spesso) contribuiscono ad arricchire la descrizione di noi stessi, fornendo elementi imprescindibili; elementi che devi per forza valutare se vuoi guidare i comportamenti umani in modo efficace. Prima di tutto, rivelano i nostri limiti. Altro che il Dott. Spock, siamo peggio di Homer Simpson: semplici esseri irrazionali, guidati dalle emozioni, soggetti a percezioni distorte, vittime di trappole mentali, influenzati enormemente da quello che fanno e dicono gli altri e da tutto ciò che ci troviamo intorno nel contesto.
Perciò, David Halpern — a capo del Behavioural Insights Team (BIT)— aveva perfettamente ragione quando diceva:
“We would have to design everything we do around people, not expect people to redesign their lives around us”.
Dobbiamo disegnare qualsiasi cosa che facciamo attorno alle persone e non aspettarci che le persone reinventino se stesse attorno a quel che proponiamo. Chi se ne frega se gli scienziati hanno individuato 36 galassie abitate da forme di vita, chi se ne frega se Elon Musk prospetti di portarci su Marte, ora come ora, chi decide deve lasciar perdere l’impresa edile specializzata nella costruzione di castelli in aria e inziare a costruire strutture architettoniche su questa Terra, per esseri umani in carne ed ossa. E questo è l’obiettivo di un approccio evidence-based alle decisioni: è il fine di un NUDGE.
Come dev’essere fatto un Nudge?
Un Nudge deve necessariamente possedere 3 caratteristiche:
- La sperimentazione. Mi chiedo se prenderesti mai il fantomatico vaccino per il COVID-19 sapendo che nessuno lo ha prima testato per provarne l’efficacia? Proveresti? Allo stesso modo mi chiedo se attueresti un’azione per sradicare il bullismo nelle scuole, sapendo che se sbagli rischi di provare grossi danni ai ragazzi, senza prima esserti confrontato o avere una prova che funzioni. Un morto di COVID-19 e un morto per atti di bullismo pesano — forse — diversamente? Al di là dell’esempio forse anche drastico, questo è per dire che, in qualsiasi spazio di decisione, la rivoluzione delle politiche pubbliche basate sull’evidenza, ci insegna che dobbiamo sperimentare. Test. Learn. Adapt. E’ questo l’iter da seguire. Servono evidenze, quali dati, prove, test dalle quali tirare fuori ciò che funziona davvero e non ipotesi su ciò che potrebbe funzionare. In sintesi, come in farmacologia si usano i Randomize Control Trials (RCTs), anche quando ci si rivolge ai cittadini lo strumento resta un buono strumento per prendere decisioni.
2. Considerare la natura umana. Lo abbiamo già detto, la nostra natura — indagata inclusivamente da tutte le discipline possibili — deve essere il nostro “starting point” se vogliamo vedere dei risultati. Per cui, ogni volta che vuoi plasmare una decisione, ricordati: “MINDSPACE”, è una parola magica! In altre parole, prendi in considerazione: il messaggio, gli incentivi, le norme sociali, il peso dei default, la salienza, il priming, le emozioni, i commitment, l’ego. Sono tante cose — vero — ma sono le cose che più di tutti ci rendono umani.
3. Avere la giusta forma. Parola d’ordine “EAST”. Easy. Attractive. Social. Timely. Se vuoi che persone facciano la cosa giusta devi rendergliela: semplice, attraente/fashion/fun, social e devi farla accadere nel momento più opportuno. Non ci sono scuse, questa è la formula vincente di un buon intervento. Riprendi l’esempio dei cerchi rossi nel parco nei pressi di Porta Garibaldi a Milano e noterai che ci sono tutte queste caratteristiche, morale: “vale più di 100 divieti”.
Evidence-Based Policy Making
Sono contenta che anche in Italia inizi a muoversi qualcosa in questa direzione. Per una studentessa che ha scritto la tesi proiettandosi in questa rivoluzione non c’è piacere maggiore.
Ma, al di là dell’efficacia dei singoli interventi, ci sono altre tre cose da dire quando si parla di Nudge Revolution.
- La prima è la distanza temporale tra settore privato e settore pubblico. L’inefficacia dei processi decisionali è stata, già da diversi anni, affrontata nel settore privato. Aziende come Amazon, come Facebook, come Apple — citando solo le più “famose” — non lasciano nulla al caso. Ogni decisione, se investire su un prodotto piuttosto che su un altro, se comunicare questo o quello, se spostare la fogliolina del prato oppure no, è evidence-based e, forse, è proprio “l’evidenza” la chiave di soddisfazione dei loro clienti. Nel settore privato, lo straordinario potere delle evidenze induce già da parecchi anni utili imporanti spingendo (più o meno gentilmente) dipendenti, clienti, consumatori e chiunque abbia un ruolo nella filiera produttiva a supportare gli interessi di quell’azienda specifica. Ma nel pubblico? Mi chiedo perché nel pubblico non possa valere la stessa cosa. La prima risposta scontata è: perché i privati hanno i soldi e possono investire, mentre i governi meno. Vero, ma un Nudge è un investimento a basso, bassissimo costo se si parla di denaro. L’unico vero costo è lo sforzo di cambiare approccio e diventare più data-oriented o meglio, evidence-oriented. A maggior ragione, nel pubblico, il bene che c’è in gioco è un bene collettivo, è un interesse che ci coinvolge come cittadini a 360°, che stimola la nostra partecipazione e sprona il nostro senso di responsabilità, quindi perché no? Finalmente, anche in Italia inizia a muoversi qualcosa. Come si dice di solito: “Ne vedremo delle belle! Oltre che i vantaggi”.
- La seconda questione riguarda il rischio di paternalismo. Quando si parla di Nudge il confine tra “ti spingo a fare la cosa giusta” e “ti persuado” è sottilissimo. C’è una linea di confine rischiosa che presuppone che il decisore abbia davvero a cuore l’interesse del singolo e della collettività. Il discorso sul paternalismo presuppone un discorso sull’architettura: l’architettura del contesto di scelta/decisionale. La rivoluzione Nudge ci dice che il contesto deve essere architettato da architetti che conoscono la natura umana al fine di predisporlo in modo da guidare scelte virtuose. Però ci dice anche che “non architettare è impossibile” anche quando lasciamo la disposizione dello spazio al caso, stiamo, in qualche modo facendo una scelta: “Scegliere di non scegliere è comunque scegliere”. Morale: tanto vale architettare a dovere. Un’interessante ricerca condotta da Ipsos Italia sul tema, ha coinvolto 18.500 persone di oltre 24 paesi per chiedere loro che cosa ne pensassero dei Nudge — intesi come interventi a basso grado di paternalismo — e la risposta è stata che l’85% degli intervistati è d’accordo. Spesso, siamo noi, soggetti delle decisioni, prima che i decisori a riconoscere i nostri limiti.
- La terza questione, infine, riguarda il nostro rapporto di cittadini con chi ci governa e con la democrazia. Siamo nel cratere, nel cuore pulsante della mia tesi di laurea. “Evidence-Based Policy Making. Un metodo rivoluzionario e una strategia per rispondere alla crisi della democrazia” erano rispettivamente il titolo e il sottotitolo della mia dissertazione. L’idea di fondo che volevo portare avanti era che: la democrazia è in crisi (e consideriamo che il COVID-19 non c’era ancora). I governi mettono in campo azioni che, di frequente, sono giudicate inefficaci e la domanda è perché? I cittadini vivono la propria cittadinanza in modo poco responsabile e si lamentano delle decisioni prese dei governi. Dunque, cosa possiamo fare? Possiamo servirci strumentalmente dei Nudge per dare vita ad un circolo virtuoso — non solo vizioso come quello che abbiamo visto in passato — tra: le decisioni prese dai governi, le azioni compiute dai cittadini, gli effetti e le percezioni di queste azioni sui governi e cioè su quello che i cittadini pensano di chi li governa e, per finire, le conseguenze sull’opinione e la credibilità del nostro sistema di governo democratico. In sintesi, se c’è un modo più facile per fare in modo che le persone facciano la cosa giusta, se è possibile vedere concretamente gli effetti positivi di questi comportamenti, vien da sé che come cittadini inizieremo a credere di più nei nostri decisori e, di conseguenza si prospetterebbe un rischio minore per la nostra democrazia.
“Win. Win”.
Il sogno di una Nudge Unit
Forse anche il nostro Paese — l’Italia — si avvicinerà all’idea di creare la sua Nudge Unit? Si vedrà.
Quel che è vero è che se inizieranno a diffondersi poli di expertise a supporto dei governi — come il BIT o l’SBST — servirà tra loro un coordinamento. Infatti, se il COVID-19 ci ha insegnato qualcosa è che ormai i problemi, non vanno dalle Alpi alla Sicilia, ma che i governi e le società civili di tutto il mondo sono chiamate a rispondere alle stesse necessità. Comuni. Condivisi. Globali.
Quello dei Nudge (e delle evidenze) è un approccio costruito su cultura fondata sul learning by doing e il leading by example perciò quel che si potrà sperare è che chi trova qualcosa che funziona lo condivida!