Realtà. Realtà virtuali. Metaverso. Quale è il futuro al quale stiamo andando incontro?

Federica Ongis
8 min readFeb 12, 2022

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Era un sabato sera, orario aperitivo

Saremo anche ruotinari ma il sabato sera ci piace trovarci alle 19:00 con gli amici al bar a fare aperitivo. E’ una sorta di tradizione per il gruppo del nostro paese, forse da buoni italiani o perfino da “ottimi paesani” (direbbe qualcuno). Proprio sabato scorso chiacchieravo con alcuni amici che hanno all’incirca la mia età ed è saltato fuori un discorso che mi sta facendo riflettere. Voglio condividerlo con voi perché spero si possa rifletterci sopra insieme. Erano un po’ di settimane che gironzolando per il paese abbiamo notato che: “c’è in giro poca gente!”. Che fine hanno fatto i giovani? Non tanto i ragazzi della nostra età, che all’alba dei quasi 30 anni, potrebbero avere di meglio da fare o che, probabilmente preferiscono stare a casa, in famiglia, ma i ragazzi più giovani. Così abbiamo fatto un tuffo nel passato e ci siamo ricordati di quando noi avevamo 18, 20, 25 anni. Trascorrevamo la maggior parte del tempo libero in giro, nei bar, nei locali. Estate, inverno che fosse si usciva e si stava insieme! Ci ricordavamo le estati in cui facevamo la coda al parchetto per prendere il campo e fare un 10–9 in compagnia. Ora c’è in giro poca gente, di pomeriggio e la sera, dove sono finiti tutti?

Ho chiesto ad alcuni amici più grandi di me che hanno già figli in età adolescenziale che cosa facessero i loro figli nel tempo libero. Una di loro mi ha risposto: “Sabato sera? Ultimamente si trovano su Fortnite?”. Per chi non lo sapesse Fortnite è un videogame. Sarà la pandemia? Probabilmente il COVID ha contribuito a disincentivare le attività ricreative collettive, ma non si può dare la colpa al COVID per tutto: il mondo è cambiato, sta cambiando alla velocità della luce e iniziamo a vedere gli effetti delle cose che ci cambiano sotto il naso semplicemente guardandoci attorno.

Dai videogame al Metaverso è un attimo!

Oggi sentiamo parlare di web 3.0, di criptovalute che prendono il posto della moneta dell’economia reale, dell’euro, del dollaro, di NFT e prodotti virtuali che acquistano mercato, di macchine che vengono vendute non per essere guidate da te che sei appassionato di motori, ma dal tuo avatar, di appartamenti venduti in realtà virtuali che ancora fatichiamo a comprendere o, meglio, di cui sono in pochi a capirne il vantaggio proprio perché così poco tangibili. Ancora, la nostra natura di essere umani in carne ed ossa, non ci fa dimenticare dell’importanza di “toccare con mano”. Siamo ancora ancorati al nostro essere dei “San Tommaso” e cioè “se non vedo non credo!”. Ma quanto durerà?

La realtà — o meglio “le realtà” — virtuali sono reali e oggi sono mercati da miliardi, oserei dire billardi di dollari di potenziale che, a poco a poco, si svelano sotto gli occhi di tutti (investitori e scettici). Portano con sé dei vantaggi ma anche tante perplessità. Basti pensare alla combo di cripto, Blockchain e NFT per capire che si sta parlando di una complessità più che al quadrato, esponenziale. C’è così tanta complessità che l’indeterminatezza regna sovrana e la speculazione fa da padrona, per non parlare del fatto che pare impossibile regolamentare. Eppure ci stiamo tuffano in questo oceano “virtuale”.

Ammetto di essere una completa ignorante in materia ma ciò non mi vieta di fare alcune considerazioni — per quanto personali e probabilmente non condivise.

Sicuramente ci sono dei vantaggi. Per esempio, se sei nato in un paesino come il mio, si chiama Sabbio, ha 3000 abitanti e si trova nella provincia di Bergamo e sei un parrucchiere quello che puoi fare nella realtà terrena è aprire il tuo negozio e tagliare i capelli alle “sciure” del paese. Per quanto tu possa essere un bravo parrucchiere, la tua professionalità ha dei limiti, sei d’accordo? In un mondo virtuale, come può essere il metaverso, avresti la possibilità di comprarti un negozio all’ultimo piano di un grattacelo di Manatthan e tagliare i capelli a Lady Gaga, sicuramente il tuo successo professionale avrebbe un altro tipo di potenziale. Ancora, se sei nato in montagna, nel mondo reale, è molto probabile che dopo scuola tu vada a sciare; in un mondo virtuale potresti perfino fare surf! Di nuovo, in questo mondo potresti prendere lezioni da un ottimo insegnante di arti marziali, ma nel mondo virtuale potrebbe essere il più prestigioso maestro giapponese il tuo insegnante e così avresti molte più chance di sviluppare nuove competenze.

Il punto qui però è questo: il mondo reale in cui nasci e cresci, le possibilità concrete che hai, ti impongono dei limiti e i limiti, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono ciò che ci definiscono. Non è un caso nel regno delle infinite possibilità ci si debba confrontare molto spesso, con crisi di identità.

Una mia carissima amica fa la psicologa e mi raccontava che nel suo studio entrano sempre più ragazzi, giovanissimi, che faticano a riconoscere ciò che sentono e ancora peggio che “non sanno chi sono”. Questo tipo di analisi non può non farci riflettere.

Gli esseri umani sono l’unica specie esistente che è in grado di servirsi dell’immaginazione per catapultarsi in mondi paralleli, per immaginare realtà altre da quella “reale”. Che poi — da buona filosofa — mi chiedo che cosa sia realtà e che cosa no? (ma questo è un altro capitolo). Detto questo, è l’immaginazione che ci ha portato a dove il genere umano è arrivato oggi. L’innovazione tecnologica, la cultura sono frutto dell’abilità degli esseri umani di servirsi della propria creatività per inventare ciò che ancora non esiste. Così, se torniamo indietro ai tempi di Leonardo Da Vinci, ci troviamo di fronte ad un uomo che guardava il cielo e abbozzava il prototipo di un aereo, pensando che un giorno anche gli uomini avrebbero potuto spiccare il volo come gli uccelli. Alan Turing fece lo stesso pensando di poter inviare un messaggio da un posto ad un altro senza usare il corriere, e così inventò il primo computer. La mia generazione e quelle prima della mia appartengono ad un’epoca in cui l’immaginazione umana, per quanto si sia spinta oltre i confini ha sempre mantenuto un contatto con la realtà. Oggi siamo di fronte a prodotti dell’immaginazione che ci chiedono di fare i bagagli e trasferirci in mondi che annullano il confine con ciò che possiamo toccare con mano. Il che non esclude una serie di conseguenze sociologiche, psicologiche, etiche ed identitarie con le quali in futuro (non so ancora quanto prossimo) dovremmo fare i conti.

Ci dimenticheremo del nostro essere esseri umani? Spero di no. Rimango della filosofia dell’Ubuntu, cioè di quella filosofia Africana che crede nell’umanizzazione e nell’umanità, nel contatto e nelle relazioni tra persone e mi piace sperare che i miei figli non impareranno a sciare mettendo sci e scarponi al loro avatar o che preferiranno bersi un spritz in compagnia al bar di paese e non nel baretto nel metaverso.

Mi domando se un progetto come Neuralink di Elon Musk che oggi sta sperimentando sui maiali, dichiarando — peraltro — che sia arrivato quasi il momento di passare agli esseri umani si voglia limitare ad aiutare chi è meno fortunato come dichiara nei suoi interventi pubblici e che non sia la premessa per installarci un chip nel cervello e controllare, per tornare all’esempio del baretto, i nostri centri neurali del gusto al punto da farci credere che il bicchiere di prosecco che il nostro avatar sta bevendo sia davvero buono o il bacio dato al nostro fidanzato sia davvero un bacio capace di farci provare piacere.

In altre parole, è chiaro che dobbiamo prepararci a fare i conti con categorie sociologiche (pensiamo a come è già cambiato il concetto di “sessualità”) che cambiando, con processi di costruzione dell’identità che si intersecano con nuove dinamiche ma — come mi ha detto qualche giorno fa una delle mie più grandi mentori: non dobbiamo dimenticarci che, in fondo, siamo esseri semplici! Dovremmo tornare a studiare gli australopitechi — mi disse, il che ci ricorda che per quanto potremmo trasferirci chissà dove, dimenticarci chi siamo, imparare a fare un’infinità di cose, come esseri umani in carne ed ossa continueremo ad avere bisogno di poche cose, ma buone, tangibili!

Il futuro che ci aspetta

Non credo nelle involuzioni e mi piace pensare che la tecnologia sia sempre progresso o un nuovo modo di vedere le cose, una nuova opportunità al di là del business e degli interessi che ci stanno dietro, ma di nuovo, i limiti che il mondo ci impone spesso sono da considerarsi delle opportunità perché senza di essi non capiremmo mai chi siamo.

In un articolo pubblicato anche su Repubblica leggevo che i ricercatori sono riusciti, tramite la VR a far credere a delle mucche tenute in un allevamento intensivo, in quelle gabbie di qualche metro, di star pascolando in ampi campi erbosi fino a fargli produrre 5 litri in più di latte al giorno. Non voglio e non mi piace pensare che il discorso sulla produttività o sugli interessi prevalga e non voglio nemmeno credere che il futuro sia un posto pieno di psicosi. Quello che voglio sperare è che questa realtà con la quale iniziamo a fare i conti non ci faccia dimenticare chi siamo e ciò di cui abbiamo bisogno per continuare a farci chiamare “esseri umani”.

Voglio lasciarti con uno degli insegnamenti più preziosi che una laurea in filosofia ti insegna: è tipico di molti filosofi innamorarsi del sapere e scegliere la filosofia come strada per non darsi un perimetro e conoscere tutto di tutto, siamo noi filosofi gli amanti del sapere tout court, eppure man mano che impari capisci che se ti illudi di poter fare e sapere tutto, essere tutto alla fine finisci per non essere un bel niente perché come ci diceva il vecchio Platone: il tutto è niente, l’Uno è nessuno!

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Federica Ongis
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Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

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