Rischi e Coraggio. Quanto sei coraggioso?

Federica Ongis
6 min readMay 14, 2022

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Gli esseri umani sono tutti un po’ fifoni, non è una novità. L’evoluzione ci ha insegnato a diffidare dei rischi perché ci ha istruito a preservare e ad essere fedeli a ciò che abbiamo visto funzionare e a ciò che ci garantisce la sopravvivenza. L’avversione al rischio ha radici biologiche e cognitive molto profonde: per il nostro cervello, addirittura, una perdita pesa più del doppio di un guadagno. Tant’è che se hai provato almeno una volta nella vita a giocare alle slot-machine ti sarai reso conto di come non ti basta e non ti soddisfa vincere quanto hai investito, ma sei pronto a “scaricare” almeno quando hai quasi duplicato la somma di denaro che ci hai buttato dentro. Daniel Kahneman osserva che la maggior parte dei giocatori accetta il rischio di perdere 20$ solo se gli viene offerta la possibilità di guadagnarne più di 40$. Il rapporto asimmetrico tra perdite e guadagni è, per essere più precisi, di circa 2,25:1.

Uno studio condotto su oltre 12.000 soggetti ha dimostrato che la nostra avversione al rischio è strettamente correlata alla quantità di materia grigia che c’è nel nostro cervello. Gli scan cerebrali ci mostrano che: le persone più tolleranti al rischio hanno meno materia grigia in alcune aree del cervello. In particolare, queste evidenze si riferisco all’amigdala e lo striato ventrale che sono coinvolte significativamente nel processo decisionale e nella valutazione del rischio; non soltanto, anche all’ippocampo, che è generalmente associato alla memoria, è coinvolto. A questa considerazione si aggiunge un altro fattore: l’età. Gli adulti evitano ciò che è rischioso più di quanto non lo facciano i più piccoli. Per esplorare questa ipotesi, i ricercatori della Duke University, hanno testato bambini di età compresa tra 5 e 8 anni, adolescenti di età compresa tra 14 e 16 anni e giovani adulti in un compito decisionale rischioso e, durante l’acquisizione dei dati tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI), ci rivelano risultati curiosi. Ciò che hanno riscontrato è che un certo numero di regioni cerebrali correlate alla decisione aumentano nell’attivazione con l’età durante il processo decisionale, comprese le aree associate al recupero della memoria contestuale e all’incorporazione di risultati precedenti nell’attuale strategia decisionale, ad esempio insula, ippocampo e amigdala. Inoltre, i bambini più avversi al rischio hanno mostrato una maggiore attivazione durante il processo decisionale nella corteccia prefrontale ventromediale e nello striato ventrale. Queste evidenze ci suggeriscono che c’è una relazione non indifferente tra geni, sistemi neurali e comportamenti umani estremamente interessante. La domanda che dobbiamo porci è quindi: quanto il nostro coraggio o la nostra propensione ad assumerci rischi dalla “cultura” o “natura”?

La nostra propensione al rischio non è un fatto da circoscrivere soltanto ad azioni eclatanti come lanciarsi da un elicottero o scalare l’Everest, ma anche imparare ad andare in bicicletta, guidare un’auto, iniziare un nuovo lavoro, trasferirsi in una nuova città sono decisioni che, in fasi diverse della nostra vita, sono di per sé rischiose. A dire il vero, ogni decisione contiene una certa dose di rischio. Questo spiega anche perché oggi esistano assicurazioni per praticamente qualsiasi cosa, a riprova del fatto che più le cose sono mutevoli e più tendiamo a preferire ciò che è certo e sicuro. La nostra capacità di abbracciare una decisione rischiosa è direttamente proporzionale al nostro coraggio, di contro, la nostra avversione al rischio è direttamente proporzionale all’amore incondizionato che abbiamo per tutto ciò che è routine. Tutto ciò che si ripete è prevedibile e tutto ciò che è prevedibile ci fa sentire al sicuro, ma ci rende anche meno tolleranti a rischiare e quindi meno predisposti a metterci in gioco. Per quanto questo atteggiamento ci abbia garantito di arrivare fin qui, il fattore rischio resta un fattore imprescindibile dell’evoluzione della nostra specie. In un mondo che cambia così in fretta e così sostanzialmente, non possiamo mettere il rischio sotto al tappeto. Piuttosto, il vero valore sta nel modo in cui decidiamo di gestirlo per affrontare in positivo le sfide che la vita ci mette di fronte.

Qualsiasi decisione tu sia chiamato a prendere non stai decidendo tra un sentiero più o meno rischioso, ma tra percorsi diversi che hanno rischi diversi. La tua motivazione a raggiungere l’obiettivo è l’indicazione numero uno da seguire per capire quanto coraggio ti serve. Pertanto, la vera domanda è: quali sono i rischi che vale la pena prendersi?

Avere coraggio significa adottare alcune regole e alcuni comportamenti:

  1. I coraggiosi accettano la paura e non permettono che l’avversione al rischio li blocchi. La cultura e la personalità hanno la forza di cambiare le nostre risposte cognitive contrastando le reazioni automatiche del nostro cervello, fino addirittura a modificarne la struttura.
  2. Allinearsi con i propri desideri e liberarsi dalle pressioni esterne rende molto più coraggiosi. Per essere pronti ad agire con coraggio è necessario sentirsi integri. Quando si dice: “Quanto sei motivato a fare questa cosa?” si cerca, più o meno indirettamente, di chiarire quale è la coerenza tra la propria decisione e le proprie idee e valori. Credere che quella sia la cosa giusta da fare ci rende più disposti a batterci per essa con forza e risolutezza dando priorità alle nostre motivazioni piuttosto che a quelle altrui.
  3. Imparare a gestire il rischio. Gli avventurosi lo sanno che non c’è piacere e non c’è risultato senza una buona dose di audacia. Eppure ciò che non li trattiene dall’intraprendere le loro avventure è la preparazione. Essere preparati significa fare lo sforzo di acquisire le informazioni necessarie e costruire una strategia efficace per sapersi muovere anche in condizioni inaspettate.
  4. Fatto è meglio che perfetto. La nostra società ci ha abituato a credere nella perfezione, eppure chi conosce la letteratura greca sa bene che neppure gli Dei dell’Olimpo erano perfetti. La ricerca della perfezione ci rende insicuri e ci impedisce di fare passi importanti. Lo spirito di competizione che anima gli esseri umani ci induce a credere che un passo falso sia la fine. La cultura dell’errore è un atteggiamento che dev’essere nutrito perché ci mostra che ci sono sempre delle alternative. Il perfezionismo è nemico dell’azione e del coraggio e ci spinge ad accontentarci di risultati modesti o a rimandare a chissà quando ciò che avrebbe, invece, senso iniziare a fare!
  5. Investi nella tua crescita. Cambiare è un processo naturale per gli esseri umani, eppure, la nostra avversione alle perdite ci rende diffidenti rispetto al cambiamento. Aggrapparsi a ciò che si è guadagnato non è un’alternativa che ci tutela dalla possibilità di perdere perché anche stare fermi è di per sé una scelta piena di rischi. Piuttosto, investire sui noi stessi, confrontarci con le esperienze degli altri, ci offre indicazioni preziose su come interpretare in positivo i cambiamenti a cui non possiamo sottrarci. Del resto lo diceva pure Darwin: “Non è la specie più forte che sopravvive, né quella più intelligente. Ma quella che si adatta meglio al cambiamento” e aggiungerei quella che lo abbraccia con coraggio!

In sintesi potremmo dire che: la nostra avversione al rischio ci dà stabilità, equilibrio e sicurezza ma sono le scelte coraggiose che rendono la nostra quotidianità più interessante e la nostra vita più degna di essere vissuta!

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Federica Ongis
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Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

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