Should I stay or should I go? Perché smettere vale quanto iniziare

Federica Ongis
8 min readJan 21, 2023

--

“Should I stay or should I go” recita una famosa canzone dei The Clash. Avere il giusto tempismo non è soltanto sapere quando e come fare il proprio ingresso in scena, ma anche riconoscere quale è il momento giusto per togliersi di mezzo, per andarsene o smettere. Il segreto del successo non riguarda solo la capacità di mettere in scena grandi performance o di lavorare duramente, ma anche l’abilità di cogliere quale è il momento più opportuno per chiudere il sipario. Quale è questo momento? Come si fa a riconoscerlo? Perché è così difficile andarsene? Perché quando dobbiamo smettere di fare qualcosa abbiamo sempre la sensazione che sia troppo presto? Come si esce di scena con il botto?

“Quitters never win and winners never quit”.

Mollare la presa è considerato comunemente un vizio. Questo perché siamo soliti contrapporre la resa alla tenacia e il rimanere fedeli alle azioni o alle decisioni che abbiamo abbracciato. Nella letteratura gli eroi sono tenaci. Nel linguaggio comune immagineresti mai di poter definire virtuosa una persona che si arrende e lascia perdere? Non credo! Eppure esistono diverse circostanze in cui la tenacia può risultare distruttiva. Se sei un pessimo cantante, non importa quanto a lungo ti eserciterai non potrai mai avere la voce di Adele, scoprirlo a distanza di tempo potrebbe avere un effetto depressivo sulla tua autostima. Benché la resa sia spesso interpretata come sinonimo di “sconfitta”, bisogna dire che a volte, per tenere incollato il lettore serve iniziare un nuovo capitolo e serve farlo quando il precedente è all’apice della storia.

Quando è il momento giusto di smettere?

Nella vita non esiste mai la persona giusta, ma c’è sempre e solo la persona giusta, al posto giusto, nel contesto giusto e, soprattutto, al momento giusto. Proprio quest’ultimo aspetto ci dice che c’è un tempo per tutto e c’è un tempo per ciascuno. Ad esempio, un professionista può essere la persona perfetta per realizzare il lancio di un’azienda, può esserlo per un breve periodo di tempo, ovvero fintanto che il suo valore è coerente con gli obiettivi di ingresso sul mercato. In fasi successive, potrebbe servire dell’altro. Con questo non si vuole assolutamente mettere in discussione il valore della persona, ma ciò che voglio dire è che ognuno di noi è in grado di trasferire il massimo del proprio valore ed esprimere il massimo del proprio potenziale quando i nostri obiettivi sono allineati con quelli del contesto in cui operiamo. Capire quale è il momento giusto per andarsene significa anticipare il momento in cui la curva del proprio valore inizierà a decrescere. Prima che questo accada, smettere può essere il segreto del successo perché, uscire di scena con un carico di credibilità ed influenza elevato ti permette di traghettare tale status su altri palcoscenici. Insomma, un buon momento per uscire di scena è l’attimo prima di risultare inadatti o disfunzionali.

Ci sono contesti in cui staccare la spina è necessario o circostanze in cui i contesti che cambiano rendono necessario un cambiamento e, siccome i contesti cambiano, abbandonare il terreno di gioco diventa sinonimo di flessibilità e agilità, contrariamente alla tenacia ossessiva che è sintomo di rigidità e ostinazione. Del resto, una cosa divertente riguardo alla tenacia è proprio questa: la tenacia può portarci a lavorare duro per le cose che valgono ma, allo stesso tempo, può portarti a continuare a lavorare duro per le cose che non valgono più.

Perché perseveriamo anche quando ci sono chiari segnali che vale la pena lasciar perdere?

Scommetto che ti sarà capitato di conoscere una coppia insoddisfatta, che tira e molla, ma nessuno dei due prende la decisione di farla finita. Perché è così difficile nonostante i segnali che le cose non funzionano più siano chiari?

Ci sono almeno 5 ragioni.

  • Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia, ci dice che: il momento peggiore per prendere una decisione è il momento stesso in cui sei nella situazione. Ecco perché spesso, questo genere di decisioni, viene indotta da “fattori esterni”.
  • La seconda ragione è che ogni volta che lasciamo qualcosa, cognitivamente, abbiamo sempre la sensazione che lo stiamo facendo troppo presto. Il nostro cervello odia perdersi delle opportunità (è il cosiddetto FOMO effect) e la sua intrinseca avversità alle perdite ci porta a credere a tutti gli effetti che “ogni lasciata è persa!”. In realtà, smettere quando si hanno ancora opzioni di scelta ti porterà ad una crescita più rapida.
  • La terza ragione ha a che fare con un’euristica nota come “Sunk-cost effect” che ci dice che perseveriamo in ciò che avrebbe senso smettere di fare per via degli investimenti che abbiamo già fatto. Classico: iniziamo a vedere un film e a metà ci rendiamo conto che non ci piace così tanto, eppure arriviamo fino alla fine perché “ormai abbiamo iniziato a vederlo”. In sostanza, ad ogni nostra decisione corrisponde l’apertura di un finanziamento cognitivo, una sorta di conto titoli che non siamo disposti a ritirare dal mercato fintanto che è in perdita. Perciò, rinunicare significa perdere l’intera somma investita (tempo, energie, denaro…). A dimostrazione della radicalità di questa euristica, gli psicologi Jeffrey Rubin e Joel Brockner hanno dimostrato addirittura che le persone sono disposte ad aspettare per qualcosa che non arriva per così tanto tempo che alla fine il costo che pagano è superiore al valore di quello che stavano aspettando. Ciò spiega come mai, proprio come in ambito finanziario, il modo migliore per affrontare l’incertezza è proprio diversificare, ovvero tenersi aperti a più possibilità!
  • La quarta ragione riguarda il nostro bisogno di certezze. Quello che stiamo facendo (ma anche le nostre idee e convinzioni presenti) è più certo e ha più valore di quello che non stiamo ancora facendo ecco perché anche se ci sono chiari segnali per cambiare rotta, continuiamo sui nostri passi. A ciò si aggiunge un ulteriore deficit cognitivo e cioè che tendiamo ad essere più tolleranti nei confronti degli esiti negativi di quelle decisioni che sono coerenti con il corso di azioni in cui siamo già impegnati che con le conseguenze negative delle decisioni che derivano da un cambio di rotta. Eppure proseguire o smettere è in entrambi i casi una decisione. Quando decidi di sposarti non puoi essere certo che funzionerà, allo stesso modo quando decidi di divorziare non puoi essere certo che sia la cosa giusta da fare.
  • Le nostre decisioni ci dicono chi siamo e quando cambiamo idea ci mettiamo in discussione. Le nostre scelte plasmano la nostra identità e ogni nuovo sentiero che intraprendiamo, ogni nuova credenza che abbracciamo, ogni nuova informazione che mette in crisi le nostre decisioni passate, ci mette in discussione. Smettere di fare qualcosa ci richiede uno sforzo per creare nuove assonanze e una nuova coerenza interna. Proiettarsi nel futuro, immaginandoselo può aiutarci a creare continuità tra noi e le novità che vogliamo abbracciare. Allo stesso modo, il consenso degli altri ha un forte impatto persuasivo. Siamo portati a sopravvalutare il giudizio degli altri nei confronti delle nostre decisioni, nel bene e nel male. Per questo stesso motivo, i migliori consigli vengono da coloro che hanno a cuore tanto il tuo benessere a lungo termine, quanto l’importanza di continuare ad esplorare.

Strategie per smettere

MVP — Minimum Viable Product. In Silicon Valley si usa questa dicitura per riferirsi a quei progetti o a quelle strategie agili di testare nuovi prodotti o soluzioni. Questa strategia funziona solo se si presuppone l’opzione di smettere non appena ci si rende conto che non funziona, senza rimorsi. Smettere è ciò che permette di massimizzare la velocità, la sperimentazione e l’efficacia di soluzioni in condizioni di incertezza. Per la stessa ragione credo che uno dei consigli più di valore che ci viene dal mondo delle start-up sia: “mai innamorarsi delle proprie idee” perché l’amore rende complicato lasciar perdere o buttare via, cioè rende difficile essere oggettivi su ciò verso cui ha senso indirizzare i nostri investimenti di risorse ed energie.

Un’altra strategia efficace per capire quando è ora di smettere è identificare dei criteri di uscita: una data e un obiettivo misurabile: “se o se non, in quel particolare stato, non sarò riuscito/a a…allora è ora di uscire di scena”. Si tratta di una semplice formula che ci aiuta a non fare della perseveranza un’attitudine disfunzionale.

Il valore di uscire di scena

La vita è troppo breve per continuare a fare cose che non hanno valore. Il ricercatore Steven Levitt, nel 2013 creò un sito che aiutava le persone a prendere decisioni importanti semplicemente lanciando una moneta virtuale. Dovrei continuare a fare il lavoro che faccio? Dovrei finire l’università o andare a lavorare? Dovrei continuare a stare con questa persona? Al di là dello scetticismo circa il fatto che le persone siano davvero disposte a prendere decisioni così importanti giocando ad un gioco virtuale, l’esperimento rivelò qualcosa di interessante: a distanza di mesi, i ricercatori scoprirono che le persone che avevano deciso di cambiare vita erano più felici della media delle persone che avevano deciso di rimanere fedeli a quello che stavano facendo. Levitt concluse la sua ricerca affermando che: gli esseri umani sono eccessivamente cauti quando devono affrontare cambiamenti importanti perché dal punto di vista cognitivo e motivazionale la perseveranza ha un peso superiore alla resa. Morale: perseverare o abbandonare non sono due scelte equivalenti. Tuttavia, allontanarsi da ciò che non produce più valore ci regala la libertà di concentrarci più rapidamente su nuovi buoni propositi.

La capacità di smettere o di uscire di scena è una capacità che dev’essere allenata. Oggi più che mai, in contesti estremamente fluidi e flessibili, uscire dai giochi può voler dire proprio “adattamento”. Comprendere quando lasciar perdere può aiutarci a migliorare i nostri processi decisionali, spingendoci a concentrarci su ciò che fa per noi, esplorando con libertà le diverse alternative che abbiamo a disposizione. Perseverare e abbandonare sono due facce della stesa medaglia. Talvolta lasciar perdere può essere più saggio che continuare: immagina di voler scalare l’Everest, ad un certo punto ti rendi conto che non ce la fai più, le tue energie ti stanno lasciando. Che cosa fai prosegui a costo di mettere a repentaglio la tua vita? Non sempre è saggio affrontare il nemico, spesso è più intelligente darsela a gambe o, come ci insegnano i migliori giocatori di poker, il talento sta nel capire quando è ora di lasciare il tavolo. In fondo, al di là di quello che siamo abituati a credere, e cioè che chi molla la presa sia un perdente che non merita di essere ricordato e chi persevera un eroe a cui dedicare le pagine dei libri, non dobbiamo dimenticarci che l’opposto di una grande virtù è comunque una grande virtù!

--

--

Federica Ongis
Federica Ongis

Written by Federica Ongis

HR Training Specialist & Development — Podcaster of “Seven O’clock” Podcast — Woman-philosopher. Passionate about behavioural sciences and neuroscience.

No responses yet